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«L’andamento del mercato della moda in Italia - dice Fabio Savelli, direttore generale di Sita Ricerca - pur essendo ancora negativo, è migliore rispetto a 12 mesi fa. Nel 2015 si incomincerà a risalire la china e nel 2016 i segnali positivi si rafforzeranno». All’annuale incontro “Scenari e previsioni per il fashion system”, organizzato dal più importante istituto di rilevazioni statistiche della Penisola, che monitora il mercato del tessile-abbigliamento attraverso un panel continuativo ed esclusivo di 4mila famiglie, si è fatto il punto sul settore. «Premesso che il 2013 è stato un anno in rosso per tutta l’Europa - spiega il consulente - in Italia si è assistito alla più grave riduzione dei consumi di moda degli ultimi 20 anni. La spesa di abbigliamento e accessori si è ridotta del 6,7%, a 24,1 miliardi di euro, mentre quella delle calzature è scivolata del 6,1%, a 5,7 miliardi di euro». L’abbigliamento uomo, con un calo del 9,3%, è rimasto il settore più penalizzato, seguito dal vestiario donna, -7,3%. Meglio gli accessori, con un -0,8%. Forte il calo nel Sud del Paese, dove si registra anche il numero più elevato di chiusure di punti vendita, -11%, rispetto alla media del -9%. Alla voce saldi, le vendite a prezzi scontati, che già nel 2012 avevano superato quelle a prezzo pieno, del 2013 hanno rappresentato il 53,6% del totale.
«In valore assoluto - sottolinea Savelli - hanno segnato pure loro il passo, con una contrazione dell’1%, rispetto al +17% del 2012». Per quanto riguarda il sistema distributivo, per la prima volta Sita Ricerca ha indagato separatamente l’andamento della spesa di moda nei tre format principali - centri commerciali, outlet center e negozi (mono e plurimarca) ubicati nei centri città o comunque su strada - da quello nei canali distributivi: punti vendita indipendenti, monobrand, grandi magazzini, iper e super mercati, ambulanti e online. In entrambi i casi, nel 2013 chi ha perso terreno sono stati i negozi indipendenti, o appartenenti a catene, non supportati da un “contenitore” che li promuova e li sostenga, come gli shopping center e i villaggi a prezzi convenienti. La quota di business degli outlet center è arrivata all’8% rispetto al 6,6% del 2012, pari a quasi 2 miliardi di euro per l’abbigliamento e di 400 milioni per le calzature. In incremento anche il sell out dei centri commerciali, passato dal 22,7% al 27,4% (6,6 miliardi di euro il vestiario e 1,5 miliardi le scarpe), mentre cala dal 70,7% al 64,6% il turnover dei negozi nei centri città o su strada. La quota di mercato dei multimarca è scesa al 29,7% (con una contrazione della spesa del 15,3%) «e la cosa più preoccupante è che l’emorragia sta interessando non solo i punti vendita piccoli e deboli, ma anche i nomi eccellenti», precisa Savelli. In flessione anche i grandi magazzini e le superfici specializzate, che si fermano all’11,1%, mentre i monobrand si aggiudicano una “fetta” del 44% e le vendite online del 2,4%. In futuro questo trend si rafforzerà: nel 2016 il dettaglio tradizionale sarà al 23,5%, i monomarca al 50,5% e l’e-commerce al 6,3%. Savelli spezza una lancia a favore dei multimarca: «Probabilmente la quota del 20-22% rappresenterà lo zoccolo duro, un valore significativo rispetto alla maggior parte delle altre realtà europee. Penso anche che prima o poi la gente si stancherà di vedere le strade tutte uguali, con le stesse insegne, e ricercherà l’unicità e la professionalità che il dettaglio indipendente di qualità sa garantire. E che è intrinseco al dna distributivo del nostro Paese».
